grazie a Coblanco, ecco le foto dell’edizione classic 2017
2016 tappa 6 – giovedì 26 maggio – Ostiglia – Ferrara
intervista a clara:
Dice una delle nostre reMIVEri
Finalmente è arrivata, la mia prima giornata da “RemoVero”, tanto attesa, durante l’organizzazione della nostra grande impresa.
Ieri sera mi sentivo un bambino alla sua prima gita scolastica, oggi in barca un leone a caccia delle sue prede.
Quante emozioni, che paesaggi incredibili, il Po sembra un fiume surreale, silenzioso, deserto quasi capace di fermare lo scorrere del tempo.
Dopo le prime ore un caldo torrido ci ha tolto un po’ di forza e la difficoltà a trovare l’ombra ha un po’ demoralizzato il gruppo.
Ma dopo la pausa pranzo abbiamo ritrovato energia e forza per affrontare con entusiasmo il pezzo mancante fino a Ferrara.
Che dire credo che remare con i reMIVEri mi lascerà un segno indelebile.
E davvero un’ esperienza UNICA!!
GrazieBettina
Tappa 6, da Ostiglia a Ferrara, abbiamo lasciato il Po e siamo entrati nel canale Boicelli che porta a Ferrara attraverso la conca Pontelagoscuro. Accolti dal CUS di Ferrara siamo sbarcati stanchissimi per il grande caldo. Tutti bravissimi, anche le nuove arrivate che ci hanno aiutato a raggiungere la meta!
Daniela
Un po’ di foto:
2016 – mercoledì 25 – casalmaggiore – ostiglia – leo parla a radio lombardia
2016 – mercoledì 25 – casalmaggiore – ostiglia – leo parla a radio lombardia
eccovi l’audio:
2016, tappa 3, la via dei longobardi, Lunedì 23 maggio, Lodi – Cremona
Ecco l’articolo che trovate anche su greenreport.it al link: http://www.greenreport.it/news/comunicazione/remiveri-inizia-la-via-dei-longobardi-ladda-si-getta-nel-po/
Domenica sera dopo aver conclusa la via del Marmo, trasportiamo su gomma le barche da Milano a Lodi. Ad accoglierci alla Canottieri Adda (prestigioso circolo Lodigiano) c’è il nostro amico Fabio Catufi, consigliere della Canottieri ma soprattutto uno dei membri del Tarantasius. I ragazzi del Tarantasius li avevamo conosciuti l’anno scorso durante la nostra Milano-Venezia; nello stesso periodo loro stavano percorrendo la Lodi-Venezia. Sono un equipaggio di 10 atleti, come noi, remoturisti ma la loro specialità è la dragoanboat. Arriviamo tardi in Canottieri, scarichiamo le barche: è troppo buio per montarle, lo faremo il giorno dopo. Quindi ceniamo al circolo e poi il meritato riposo a conclusione della faticosa via del Marmo.
Lunedì mattina ce la prendiamo un po’ più con calma, tutti noi desideravamo dormire qualche ora di più per riprenderci dalle fatiche del giorno precedente. Purtroppo piove. Con l’aiuto di Fabio montiamo le barche sotto la pioggia che da sottile diventa sempre più fitta. Per arrivare a Cremona sono circa 70 km. A causa del rovescio partiamo tardi, verso le 11.00, quando spiove. Ahimè ciò implica che finiremo anche tardi… molto tardi. Prima di partire Fabio ci regala un gagliardetto della società (peccato che in questo club non si pratichi più canottaggio). Mettiamo le barche in acqua dal molo, dove è legato il dragone dei nostri amici, e via pronti a partire per la nostra seconda idrovia: inizia la via dei Longobardi.
Per noi è la prima volta che navighiamo sull’Adda. Questo fiume è la grande scoperta di quest’anno. Sia rispetto al Po ma anche rispetto al Ticino questo fiume è meno ampio. Ciò permette di sentirsi molto più a contatto con la natura non solo acquatica ma anche con la fauna terrestre. Tutti noi siamo commossi e affascinati a navigarlo. Qua la natura è meravigliosa. Dopo la pioggia l’acqua è smeraldo, trasparente come quella del Ticino e non limacciosa come quella del Po. Il verde del fiume è contenuto da argini bassi in pietra bianca che si riflettono nelle acque. Sull’argine una fitta vegetazione di alberi che la tempesta ha reso di un colore verde argenteo. In mezzo a questo paesaggio un’enormità di uccelli che volano da una parte all’altra del fiume: beccacce, aironi cenerini, cormorani. Appena ci si ferma per bere un sorso d’acqua non è raro che una farfalla ci si posi sopra la barca o su uno di noi. Dopo la paura, lo stress e la fatica mentale di ieri, la bellezza di tutto questo riempie nuovamente i nostri cuori di serenità. Lo splendore di questo incanto ridà vigore ai nostri animi fiacchi.
La navigazione sull’Adda risulta facile: c’è una buona corrente, le piante fanno spesso ombra e la bella vista allevia la fatica. L’unico inconveniente rispetto al Po è che non avendo il fondo sabbioso (ecco perché è più limpido) anche le spiagge, che si trovano sulla via, sono di ciottoli ed è quindi meno facile l’approdo.
Anche oggi abbiamo incontrato due salti d’acqua senza conca e dunque ci siamo dovuti di nuovo inventare qualcosa. Il primo dislivello incontrato è a Pizzighettone. Poco dopo il ponte della ferrovia c’è un salto d’acqua di un metro. Sulla sinistra vi è uno scivolo, che i canoisti spesso usavano, ma i lavori all’argine lo rendono impraticabile da un anno e mezzo. Decidiamo quindi prima del ponte di fermarci sull’argine destro del fiume. Aliamo le barche e le trasportiamo con i carrelli per circa un chilometro sulla sponda desta. Non possiamo mettere prima in acqua le barche poiché su questo lato c’è una centrale elettrica con turbine che risucchiano parecchia acqua. Terminato il nostro percorso lungo l’argine inizia a piovere, attraversiamo un campo di là dal quale vi è una discesa con facile accesso all’acqua. Mangiamo un panino e ripartiamo sotto una pioggerellina. Per 12 km, gocciola e smette in continuazione. Giunti in prossimità di Castiglione-Bocca d’Adda, dove vi è l’ultimo salto dell’Adda prima di entrare in Po, la pioggia aumenta. Per affrontare il salto d’acqua è stato predisposto uno scivolo con dei rulli.
Il passaggio non è agevole per le nostre barche per diversi motivi. In primis perché sono lunghe, in secondo luogo perché sono in vetroresina e non possono prendere botte, ed infine perché piove e la massicciata su cui è stato montato lo scivolo diventa sdrucciolevole. Affrontiamo questo passaggio tardi, sono ormai le 17.30. Tutti noi siamo stanche e infreddoliti. Alcuni di noi sono anche costretti a scendere in acqua e bagnarsi fin sopra la vita per condurre e direzionare le barche dall’acqua. Avendo fatto prima della discesa un sopralluogo ci eravamo però preparati ad affrontare questi problemi studiando una manovra per trasportare una alla volta le barche dall’altra parte e portandoci dei materassini morbidi da mettere tra i rulli e la barca in modo che questa non sbattano la chiglia sulla parte metallica dello scivolo. Ma per la pioggia non possiamo farci nulla. Proprio nulla. L’operazione è lunga e fiacca il morale di molti. Una volta conclusa la pioggia aumenta ancora. Dobbiamo raggiungere Cremona: manca poco ma la fatica sulle spalle dei giorni precedenti si fa sentire.
Risaliamo subito in barca, bagnati intorpiditi e stanchi iniziamo a vogare. Dopo un chilometro, l’Adda si getta nel Po. Finalmente il Grande Fiume. Il compagno del nostro scorso viaggio ci accoglie di nuovo tra le sue anse. Remiamo ancora, quest’ultima mezzora è durissima. Ma finalmente arriviamo a Cremona. Sono ormai le 7 di sera. Ad accoglierci come l’anno scorso c’è Armando Catullo, l’uomo del Po. Ci aiuta a sistemare le barche, ci porta in canottieri per una doccia e come l’anno scorso ci mette a disposizione la sua casetta galleggiante: il Bodingo. Tutti noi non vedevamo l’ora di dormire di nuovo in quel posto, cullati dalla corrente del fiume.
Concluse tutte queste operazioni, la pioggia cessa. E in quel piccolo angolo di paradiso il sole inizia a tramontare tra le nuvole che da grigie diventano oro. Quel tramonto ci ha donato tanto. Ci ha mostrato che è valsa la pena la fatica di oggi. A me però piace pensare che forse sia semplicemente la maniera con cui il Grande Fiume ha voluto dirci “grazie di essere tornati ancora una volta a trovarmi”.
Giacomo
2016, tappe 1 e 2, sabato 21 e domenica 22 maggio, la via del marmo, racconto del viaggio
Grazie a greenreport che ci pubblica questo bel resoconto del nostro giacomo:
http://www.greenreport.it/news/comunicazione/remiveri-diario-della-tappa-dal-lago-alla-sorgente-dei-navigli-milano/
Venerdì sera raggiungere la Pallanza. Uno dei nostri obiettivi di quest’anno è riscoprire l’idrovia percorsa dai barconi che portavano il marmo rosa da Candoglia a Milano per costruire il Duomo. In una parola Auf!
Poiché il Toce, un immissario del Lago Maggiore che passa per Candoglia, non è più navigabile, partiremo da Pallanza. Andrea e Mauro, insieme a tutti i ragazzi della Canottieri Pallanza, ci aspettano per iniziare la festa. Questa sera, infatti, prima di partire per la nostra avventura, festeggiamo i 120 anni dalla fondazione della canottieri. I ragazzi si dimostrano subito gentilissimi, ci danno una mano a scaricare le barche e a montare gli scalmi. Poco dopo inizia la musica e su lunghe tavolate sistemate sull’argine davanti al pontile della canottieri iniziamo la festa. Ceniamo a un passo dall’acqua con una serata bellissima incorniciata da un tramonto senza nuvole tra le montagne gialle e azzurre del lago maggiore.
Il giorno dopo ci alziamo presto. Alle 8.30 siamo in barca. Lago piatto, giornata senza nuvole.
Condizioni ideali per remare. Partiamo insieme a una barca della Canottieri Pallanza che ha deciso di accompagnarsi per il primo tratto di lago. Zigzaghiamo attraverso le isole Borromee e dopo poco meno di 30 km concludiamo l’attraversamento del lago preparandoci all’imbocco del Ticino. Passata Sesto Calende, poco dopo ci aspetta la prima chiusa a Miorina. Purtroppo per un disguido non riusciamo a passare la chiusa: la conca è di competenza dell’Aipo (Agenzia interregionale fiume Po) mentre noi avevamo chiesto autorizzazione al Consorzio Est-Ticino Villorersi, ente che gestisce le successive chiuse all’interno del Parco del Ticino e tutte le acque che da questo fiume confluiscono a Milano per poi tornare in Ticino a Pavia.
Arrivati a Miorina, località Golasecca, la conca non si può aprire. Ci dobbiamo fermare. Bloccati a causa della burocrazia. Per fortuna abbiamo con noi i carrelli per le barche progettati l’anno scorro. In mezzora li montiamo e carichiamo le barche, iniziandole a portare lungo la ciclabile. A spingere le barche a mano siamo molto lenti: poco più di 2 km ogni 40 minuti. Per fortuna, su una spiaggetta, riusciamo a rimettere le barche in acqua congelandoci i piedi nei freddi flutti ticinesi.
Arriviamo poi alla centrale idroelettrica di Porto della Torre. Qua si trova un salto d’acqua di più di 1 metro, ma non è ancora stato realizzato un sistema di conche. Come prima cosa, siamo dunque costretti a tirare fuori le barche dall’acqua. Una volta alzate e issate nuovamente sui carrelli all’arrembaggio attraversiamo la statale che passa il ponte sovrastante la centrale elettrica. Subito dopo rimettiamo le barche in acqua: ancora qualche kilometro e arriviamo a Panperduto. L’alta dirigenza del Consorzio Villoresi ci attende! Incontriamo il presidente Alessandro Folli che ci racconta i suoi sogni di una nuova navigabilità fluviale. Sono certo che diventerà subito un nostro amico. Per il pernottamento ci fermiamo all’ostello di Panperuduto dentro il Parco del Ticino. Un posto da sogno in mezzo alla natura. Panperduto ideologicamente è come la sorgente dei Navigli, che in questo posto si staccano dal fiume Ticino. Da qui inoltre nascono le acque irrigue del Canal Villoresi che bagna la campagna a nord di Milano, passando fino all’area a Expo e poi Monza. Di nuovo ci accolgono con grande ospitalità. Dopo una cena da campioni e una serata a vedere la diga illuminata ci corichiamo: il prossimo giorno ci aspetta una giornata impegnativa.
tappa 1, da Pallanza a Panperduto, Sabato 21 Maggio
tappa 2, da Panperduto alla darsena di Milano, Domenica 22 Maggio
2016 – radiopopolare localmente mosso intervista leo prima della partenza
Eccovi il link per sentire l’intervista:
2015 – Milano – Venezia – il video di Studio Aperto
Giorni 5-8: Revere-Bottrighe-Chioggia-Venezia
Ed ecco cosa è accaduto nella seconda metà del viaggio: il diario quotidiano, che avremmo dovuto scrivere ogni giorno, è rimasto infatti incompiuto durante la nostra impresa, per mancanza di forza fisica e mentale. Ogni giorno che passava pareva essere più duro per noi, condizione aggravata dal tempo in costante peggioramento.
Ripartiamo di buon’ora da Guastalla per il quinto giorno di navigazione, anticipando al massimo delle nostre energie l’alzataccia a causa della situazione meteo non proprio promettente. Cerchiamo di fuggire verso est il più velocemente possibile per scappare dalla pioggia. Il cielo plumbeo regge per una parte del percorso ma a metà, purtroppo, gocce di pioggia in aumento cominciano a ticchettare su di noi. Pochi minuti e la pioggia diventa battente, la temperatura si abassa, l’umidità entra dentro il nostro corpo. Ora sarà dura remare fino a Revere.
L’unica certezza è che non ci sono alternative se non vogare, vogare, vogare e arrivare a destinazione. Non esiste un piano B. Le circostanze mettono a dura prova la resistenza di noi canottieri. Solo un paio di soste velocissime su isole di fortuna, dove affondiamo nel fango come da tradizione. Iniziamo ad emettere strani fonemi, parole che si ripetono come mantra senza senso. E’ un modo come un altro per far passare il tempo, per non pensare, per anestetizzare la sofferenza. Capisco il senso delle canzoni di guerra, delle litanie che i soldati ripetono osessivamente, all’infinito, durante la loro marcia. Lo si fa perché hai assoluto bisogno di tenere la mente occupata, perché se pensi ti fermi e se ti fermi non riparti più.
Passano i minuti e le ore mentre il cielo pare squarciarsi all’arrivo a Revere: arriviamo col sole. Da lontano scorgiamo la Canottieri a sinistra della nostra prua, giusto prima di un ponte ferroviario. E’ bello vedere un pontile dove sai che attraccherai e potrai scendere. Un’altra tappa raggiunta, Venezia si avvicina.
Trascorriamo una serata in questa splendida cittadina che vanta una rocca dei Gonzaga, una delle loro residenze estive proprio a ridosso del grande fiume.
Il gentilissimo e disponibile responsabile della pro-loco, apre la torre per mostrarci la sua struttura che, nel corso della storia, ha avuto funzioni molto diverse: torre di avvistamento, carcere ed infine torre campanaria, divenuta mèta molto ambita per i campanari di tutto il mondo.
Proseguiamo la visita all’attiguo Palazzo Ducale ed al museo del Po che vi è ospitato.
La collezione è ricca ed affascinante e racconta la secolare storia del fiume. Sono esposti modelli di barche e zattere, mulini fluviali, ponti di barche ed altre meraviglie dei tempi che furono che erano in grado di sfruttare l’energia idrodinamica ora inutilizzata.
La sezione delle mappe antiche, che già riproducevano fedelmente il territorio circostante e l’idrovia, è di grande fascino. A fatica, ce ne andiamo.
Siamo provati dalla tappa di oggi e non godiamo la serata come avremmo potuto. Studiamo il meteo ogni ora, sperando che qualcosa migliori. Ma nulla migliora e domani sarà un massacro: 100 chilometri lungo un Po che si sta allargando, che sta moderando la sua corrente, che non ci darà una mano. Domani non avremo sconti e, nonostante la stanchezza, il buon senso ci suggerisce di partire quanto prima. Questo si traduce in una sveglia alle quattro e mezzo del mattino per avere il tempo di fare colazione, di armare le barche e di salutare Revere alle sei, al più tardi.
Ci alziamo con le facce scure, i nostri sguardi si incrociamo, proviamo a darci forza l’un l’altro. I giorni stanno trascorrendo ed il gruppo avverte quel senso di appartenenza che può fare la differenza. Non escludo che a volte pensiamo di essere un po’ matti, non escludo che ciò sia vero ed è forse la nostra salvezza.
Un paio di foto dal grande argine di Revere mentre il cielo pare schiarsi al sorgere del sole; via sulle barche, ognuno di noi agguanta i propri remi e inizia questo movimento sul carrello che oggi non avrà mai fine: avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro.
Siamo fortunati, o meglio, ci illudiamo di esserlo. Il cielo grigio sembra volerci risparmiare, le nubi si addensano attorno a noi ma abbiamo vogato per oltre 50 chilometri ed ancora non piove. Le speranze di evitare il peggio si spengono verso il sesssantesimo chilometro. Una pioggia battente si rovescia sopra le nostre imbarcazioni, un vento freddo si scatena attorno a noi mentre il fiume inizia ad incresparsi quasi fosse un mare. Ne mancano ancora quaranta, 4 ore di navigazione, 4 ore di baratro.
Non so come facciamo a continuare, a non mollare, a muovere i muscoli ormai ghiacciati e bagnati fino alle ossa. Si alternano momenti di tragico silenzio, perché nessuno di noi ha più forza di parlare, a momenti di “delirio” nei quali, com’era già accaduto, ripetiamo parole senza senso.
Guardo l’orologio che ho slacciato dal polso e appoggiato sulla barca nella speranza che le lancette scorrano più veloci. Scorrono sempre uguali, invece, è assurdo. Mi arrabbio con l’orologio.
Chiediamo al timoniere: “quanto manca? Vedi il pontile? Siamo arrivati? Non ce la facciamo più, non reggiamo più. Non si capisce come facciamo a non fermarci, ad andare avanti. Ti viene quasi da piangere.
Dopo 10 ore, con le mani che non sentiamo più, con le gambe che tremano, con la schiena a pezzi, vediamo la fine, vediamo un benedetto pontile di legno, vediamo alcune persone che aspettano i reMIVEri. Siamo arrivati a Bottrighe. Scaviamo dal fondo del barile delle nostre energie e giriamo le prua delle barche contro la corrente per la manovra di attracco.
Quando scendo a terra le gambe si piegano, non reggono più, la tensione cala all’improvviso. E’ un momento di commozione, per tutti. Ce l’abbiamo fatta, ci sentiamo un po’ eroi.
L’accoglienza è meravigliosa: anche qui, come durante tutto il nostro viaggio, troviamo amici che ci salutano con entusiasmo, che si mettono a disposizione per alleviare le nostre sofferenze, che ci ospitano nelle loro strutture, ci trasportano coi loro mezzi a destinazione, ci stringono la mano.
Lungo il grande Po, non abbiamo mai incontrato qualcuno che non fosse felice di vederci, che non volesse, in qualsiasi modo, essere di aiuto. Non è una cosa da poco e, probabilmente, è la cosa che ci ha dato la spinta per andare avanti, per non mollare mai.
La serata trascorre piacevolmente con gli amici della Canottieri Adria che sono venuti ad accoglierci e a festeggiare la nostra impresa: ci regalano una locandina che hanno fatto fare in ricordo dei reMIVEri. Siamo loro grati del gesto come siamo grati a tutti. Esiste una bella umanità che vive ed ama questo fiume. Noi l’abbiamo conosciuta ed abbiamo imparato ad apprezzarla, ad amarla.
Calata la tensione e l’adrenalina per la mèta raggiunta, la stanchezza esplode dirompente su tutti noi. Raggiungiamo le stanze e ci tuffiamo nei letti come fossero la cosa più bella del mondo. Un nubifragio si sta scatenando in tarda serata. Questo fa ben sperare per la giornata di domani, l’ultima della nostra folle avventura, la tappa che ci dovrebbe portare a Venezia.
La notte vola velocemente, comprendi che non hai tempo sufficiente per recuperare la stanchezza che si sta accumulando giorno dopo giorno ed il sonno non è mai profondo perché la mente non riesce a staccare del tutto.
E’ trascorsa ormai una settimana, siamo in prossimità del delta del Po. Oggi passeremo una serie di chiuse e canali che taglieranno il fiume Adige e il Brenta e ci porteranno nella laguna veneta.
Un saluto agli amici dell’Agriturismo Casa Ramello di Ariano nel Polesine – che hanno dedicato alle nostre magliette ufficiali reMIVEri un ciclo della loro lavatrice – e siamo di nuovo in partenza.
Chiudiamo le borse che carichiamo nell’auto di Antonio, papà di Massimo, nostro fondamentale supporto via terra. Anche senza di lui, il nostro viaggio non sarebbe stato possibile.
Giriamo le barche per svuotarle dall’acqua piovana, mentre alcuni di noi vanno a prendere i remi. Panico: contiamo i remi diverse volte e sembra che ne manchino sempre quattro. “Hanno rubato i remi”, inizia a dire qualcuno; “l’avventura finisce qui”, chiosa qualcun’altro. Mettiamo i remi vicini, li accoppiamo e continuiamo a contarli e ricontarli, increduli. Ne mancano sempre quattro, due coppie di remi. Tutti affermano che i remi sono stati portati e appoggiati in quel preciso punto, tutti negano di aver spostato i remi: l’ipotesi del furto di remi pare consolidarsi.
I remi, ovviamente, si trovavano su un altro punto del pontile. Un sospiro di sollievo: i nostri sedici remi esistono ancora. Credo sia la stanchezza, ormai non vediamo nemmeno gli oggetti davanti a noi.
Il cielo è cinereo ma non piove molto, una pioggerellina fine e costante ci bagna senza disturbare troppo, a volte si ferma. Tutto scorre tranquillamente, oggi. Salutiamo il Po mentre imbocchiamo la serie di canali e di chiuse che ci faranno concludere il viaggio.
Per un tratto si affianca un’altra barca, un dragone, con cui ci divertiamo a gareggiare e a scherzare dentro le conche, in attesa che le paratie si chiudano e si riaprano davanti a noi.
Alcune ore di remata e siamo a Chioggia: una pioggia battente, accompagnata da un forte vento, rinforzano il mare alla bocca di porto che separa la cittadina da Pellestrina. Siamo preoccupati perché le nostre barche da canottaggio – due GIG – non sono adatte alla navigazione in mare, sono basse e non hanno gli scalmi basculanti. Non appena ci troviamo in linea della bocca di porto, un mare violento e ondoso si abbatte su di noi. Un paio di ondate entrano in barca, i remi sono quasi ingovernabili: affondano o non prendono l’acqua.
Oggi non arriveremo a Venezia, la situazione è veramente pericolosa. Si decide di entrare in Darsena, allo Sporting, e di lasciare le barche qui. Nemmeno entrare risulterà facile, la corrente è potente e la barca scarroccia in direzione delle bricole. Con fatica guadagnamo il porto, fradici, tremanti, stanchi.
Le due barche non entrano assieme: l’altro equipaggio della “Reminga”, infatti, aveva trovato un riparo casuale attraccando ad un piccolo pontile presso la scuola dei Salesiani. Qui, in mezzo a bambini che giocavano a calciobalilla e azzannavano voraci le loro merende, i canottieri sono accolti da Don Marco che li rifocilla con the caldo e biscotti. Un ennesimo episodio di generosità ed umanità che abbiamo vissuto in questo viaggio. Grazie Don!
Questa sosta fuori programma significherà dover andare a Venezia in autobus, avendo ormai organizzato il pernottamento ed il trasferimento delle borse lì, e dover ritornare a Chioggia all’indomani per ritentare la traversata. Con ciò ci siamo giocati l’unico giorno di assoluto riposo prima della Vogalonga. Un vero peccato.
La sveglia suona molto presto sabato mattina, nel giorno del riposo perduto; alle 7.25 ripartiamo in autobus alla volta di Chioggia, continuando a guardare il meteo ed il cielo sopra le nostre teste. Dopo un’ora ci ritroviamo nuovamente in Darsena – un bel déjà vu – sotto una piogga costante ed una temperatura che si sta abbassando ulteriormente. Il quadro meteorologico è fosco ma il mare è migliore, con meno vento e meno onda. La decisione è presa: ci sono le condizioni per partire, via verso Venezia.
Abbiamo macinato centinaia di chilometri durante la settimana trascorsa, oggi ne abbiamo solo 30, sono pochi e questo ci consola, nonostante tutto. Si parte, rassegnati, sotto un forte temporale, siamo convinti che non sarà poi così dura. In fondo, abbiamo già percorso 100 chilometri in un giorno solo. Oggi è una bazzecola, in confronto. Non so se pensiamo questo per scaramanzia o perché vogliamo veramente sperare che non sarà poi così tragico raggiungere Venezia. Sta di fatto che questi maledetti 30 chilometri si riveleranno i peggiori del nostro viaggio, questi maledetti 30 chilometri non finiranno mai.
Ci sosteniamo a vicenda durante la traversata, l’acqua ha ormai raggiunto le nostre viscere, un freddo ed un’umidità pungente non ci danno tregua: la mani violacee faticano a stringere i remi, le gambe paralizzate non voglio più piegarsi, la schiena dolorante non sostiene più il nostro corpo.
Voghiamo lungo questo rettilineo infinito, costeggiando Pellestrina ed il Lido di Venezia, poi tagliamo in diagonale verso Sacca San Biagio, alla Giudecca.
Arriviamo a destinazione con la forza della disperazione, nessuno di noi crede di aver fatto quello che ha fatto, nessuno di noi si capacita di essere veramente arrivato a Venezia, partendo da Milano, una settimana fa, in un giorno di sole e applauditi dalla folla.
Eppure tutto questo è accaduto, tutto questo è vero, tutto questo sono stati e sono i reMIVEri.
Siamo noi, siamo persone normali che hanno voluto cimentarsi in qualcosa di più grande di loro, siamo persone che sono volute uscire dalla loro vita per mettersi alla prova, per dimostrare qualcosa al mondo, per urlare a tutti che tutto è possibile.
Scendiamo dalle barche tremando e tremeremo per ore, anche dopo una doccia calda. Siamo veramente commossi, siamo finiti, siamo stremati, siamo felici.
Questo viaggio lungo il Po è stato un viaggio che ha attraversato tre regioni italiane, molti comuni, molte città, è stato un viaggio pieno di umanità e di fatica, di gioie e di sofferenze. Credo che dentro tutti noi rimarrà un ricordo indelebile perché, in fondo, ognuno di noi ha fatto un viaggio dentro se stesso, oltre i propri limiti, oltre le proprie paure. Ognuno di noi non sarà più quello di prima.
E’ domenica, arriva il sole a riscaldare il mondo, migliaia di barche solcano il bacino di San Marco, un colpo di cannone dà il via alla Vogalonga che sarà l’ultima tapppa dell’avventura dei reMIVEri.
In poco più di due ore, nel gruppo di testa, chiudiamo questa fantastica ed irripetibile avventura, vogando, orgogliosi di noi stessi ed applauditi dalla folla festante.
Passiamo sotto il ponte dei tre archi ed imbocchiamo il canal Grande sventolando la nostra bandiera: è bellissimo ed emozionante.
Siamo commossi, siamo felici, ce l’abbiamo fatto. Siamo i reMIVEri, e lo saremo per sempre.
Giorno 4: Cremona-Guastalla 19 maggio
Oggi ci alziamo presto, prima delle sette: 70 chilometri dividono Cremona da Guastalla, la nostra prossima tappa.
Tardiamo un po’ la partenza per riorganizzare la barca d’appoggio visto che il gommone ci aveva definitivamente abbandonato a Piacenza per scollamento della chiglia gonfiabile: abbiamo rischiato di perdere il nostro Presidente tra le correnti del Po. Ed invece lo vediamo, più sereno che mai, su una barca in alluminio messa a disposizione da Armando o, per meglio dire, dall’Armando.
Un fotografo del Touring, giunto sul pontile gallegiante per scattarci alcune foto, ci seguirà anche per un primo tratto, documentando la nostra impresa. Ne siamo onorati.
La giornata è assolata e la temperatura aumenta. Acuni di noi vogano a torso nudo, visibilmente segnati dalla tipica abbronzatura del canottiere. L’aria è afosa e beviamo molta acqua con integratori, per ricostituire le riserve energetiche. Qualche piccola sosta per scattare alcune foto e un paio di soste più lunghe su lingue di sabbia limacciosa dove le nostre prue si appoggiano facendo inclinare le imbarcazioni. Via i calzini e le scarpe, si scende a terra coi piedi che sprofondano abbondantemente nella riva. I muscoli si rilassano, alcuni di noi accennano un po’ di stretching per cercare di sciogliere i muscoli: la schiena è dolente, le mani accusano i chilometri che si stanno accumulando, le vesciche aumentano e la pelle inizia a tagliarsi. Fa male, fa parte del gioco.
A metà percorso facciamo una pausa alla Canottieri dell’Eridanea, fucina di grandi campioni del Canottaggio italiano. Il Presidente ci accoglie con grande e giusto orgoglio, mostrandoci la struttura ed elencando i nomi degli atleti che si sono formati lungo queste sponde e raccontando le loro vittorie.
Ripartiamo dopo un buon piatto di pasta che ci ridà un po’ di forza, barche di nuovo in acqua e via verso Guastalla. Ancora un paio di soste su piccole spiagge che troviamo lungo la navigazione mentre il sole è alto in cielo e una cappa di afa sembra non volerci dar tregua.
L’attenzione è sempre importate a bordo, soprattutto per il timoniere. Ci sono molte secche in agguato: in un paio ci finiamo sopra e siamo costretti a scendere dalle barche. Massima attenzione anche ai tronchi trascinati dalla corrente che potrebbero danneggiare gli scafi.
Dopo una serie di anse la nostra mèta si avvicina, finalmente. I chilometri percorsi si stanno facendo sentire. Il desiderio di mettere i piedi a terra aumenta, come pure la voglia di potersi rilassare.
Un ultimo cambio di direzione del grande fiume e scorgiamo, a dritta della prua, il Circolo Canottieri Eridano, altra pietra miliare della storia della voga italiana.
A questa altezza, il Po sembra particolarmente vigoroso, le correnti sono visibilmente forti e il piccolo pontile davanti a a noi – perfetto per i kayak ma assolutamente inadatto per delle barche da 12 metri come sono le nostre – non fa presagire un facile approdo.
La prima imbarcazione, nella sola manovra di virata, perde moltissimi metri a causa dello scarroccio provocato dalla corrente. In quattro canottieri alla massima potenza facciamo fatica a risalire il fiume. In qualche modo guadagnamo l’arrivo grazie ad un nostro remo agguantato da una persona che ci stava aspettando.
La seconda imbarcazione, subito dietro, arriva anch’essa a destinazione con un piccolo urto tra lo scafo e l’angolo del pontile galleggiante: si danneggia in modo lieve, fortunatamente senza conseguenze strutturali.
Scendiamo tutti a terra, solo in quel momento cala la tensione; ci consoliamo con una serie di spritz e Martini gentilmente offerti da una compagna di avventura: Arianna.
Godiamo ancora della la bellezza del grande fiume mentre alcune nuvole tagliano l’orizzonte e fanno virare i colori dai toni dell’azzurro ai toni del grigio.
Una luce strana si diffonde in un’atmosfera che pare sospesa.
Arrivano le macchine che ci porteranno in centro a Guastalla, dove passeremo la notte. Saliamo, carichiamo le nostre borse e ridiamo come dei ragazzini raccontandoci le cose più strane. Abbiamo ormai capito e sappiamo che la stanchezza fa dei strani effetti sulla nostra psiche. Ma in fondo è bello così.
Giorno 3: Piacenza-Cremona 18 maggio
Ci svegliamo di buon’ora a Piacenza anche se la tappa di oggi sarà meno lunga delle altre. Dobbiamo superare un forte dislivello del fiume Po all’altezza della centrale elettrica di Isola Serafini. Passare questa chiusa è sempre un’incognita perché dipende dal livello delle acque: se sono troppo basse non è possibile utilizzare la conca e si deve ripiegare per un trasporto delle imbarcazioni da terra, cosa che richiederebbe un certo tempo.
Lasciamo la storica Canottieri Vittorino da Feltre, una delle tante nate nel 19° secolo lungo le rive del grande fiume. Nel frattempo cerchiamo di contattare il conchista – figura a noi ignota fino a poco tempo fa – che gestisce la chiusa di Isola Serafini. Il responso, fortunatamene, è positivo: il livello è abbastanza alto e potremo utilizzare le chiuse.
Oggi il sole splende sopra di noi, l’aria si scalda al passare delle ore, ogni tanto incrociamo qualche airone. A volte si nota una grande V formarsi e scorrere veloce nella corrente: è il pesce siluro.
Il paesaggio si ripete sempre uguale e sempre diverso: pioppeti, spiagge, pecore e vacche fino alla riva, alcune casette galleggianti, qualche campanile che spunta dietro gli alberi od oltre gli argini. Un senso di pace si diffonde in questo deserto d’acqua perché questo grande fiume, contrariamente a quanto si pensa, è deserto, non si incrocia nessuno per molto tempo: ogni tanto un gommone di pescatori, più di rado piccole chiatte trainate da rimorchiatori, raramente un kayak.
Ognuno rema coi propri pensieri, si ride e si scherza sulle barche, il tempo deve passare; qualche volta si sente qualcuno zittire tutti: è il desiderio di sentire il silenzio che c’è attorno a noi, un silenzo al quale non siamo più abituati, un silenzio che ci riporta a noi stessi.
Guardiamo l’orologio, facciamo due conti e capiamo di essere in largo anticipo rispetto all’apertura della conca. Perché passare una conca non è come passare un casello autostradale, non aprono quando arrivi o vuoi tu. Aprono quando possono e vogliono loro, e tu ti devi regolare di conseguenza. Questa “benedetta conca” aprirà alle quattro del pomeriggio e noi dovremo aspettare.
Ne approfittiamo e decidiamo di fare una sosta più lunga per il pranzo.
Si ormeggia all’Associazione San Nazaro Motonautica, nonostante la struttura sia chiusa, e organizziamo, al volo, una prenotazione all’Antica Trattoria da Cattivelli, che da nostri studi topografici ci sembrava poco distante. Gli studi si rivelano errati e la possiamo raggiungere solo grazie a tre macchine che ci vengono a prendere, macchine mosse da pietà per questi 10 pazzi che stanno andanda da Milano a Venezia. Anche in questa occasione siamo felicemente sorpresi dalla gentilezza e disponibilità delle persone che vivono lungo il Po.
Mangiamo abbondantemente – forse troppo – ritorniamo, dopo una sosta di due ore, alle nostre barche e ci avviciniamo a quel “mostro” che tanto ha turbato i nostri sogni: la chiusa di Isola Serafini. Alcuni di noi già si vedevano risucchiati dai gorghi delle turbine della centrale idroelettrica, altri si immaginavano tagliati in due dalle paratie.
Nulla di tutto questo accade ma essere dentro una conca – che a paratie chiuse si abbassa di 10 metri – non è una cosa che capita spesso nella vita. E’ impressionante ed affascinante.
Quando le paratie a valle si aprono è come se si alzasse un sipario, è come se si ritornasse alla vita dopo un tempo sospeso nel quale hai temuto di essere in trappola.
Ancora una breve navigazione e si raggiunge Cremona con la sua grande tradizione di canottaggio. Ci accolgono un maestoso lungofiume e una delle sue canottieri più importanti: la Leonida Bissolati.
Alcuni di noi decidono di accettare un invito particolare: si dormirà in una casetta galleggiante ospiti di Armando che ci racconterà il suo amore per il grande fiume.
Man mano che passano i giorni capiamo sempre di più quanto il Po non sia, in effetti, solo un fiume, il Po rappresenta un’entità assoluta e superiore, qualcosa di metafisico che entra dentro il cuore delle persone del luogo.E’ un amante che ti ammalia e ti irretisce: non puoi più farne a meno.
Guardiamo il fiume all’imbrunire mentre un treno merci che sferraglia passa sul ponte di fronte a noi: sembra un film, sembra irreale. Forse non siamo più abituati alla realtà. Ci sentiamo fortunati e con questi pensieri cerchiamo il riposo nella notte. Domani si rema ancora.
Giorno 2: Pavia-Piacenza 17 maggio
Si riparte di buon mattino percorrendo un tratto del Ticino che ci porterà al grande fiume Po. Salutiamo gli amici del CUS PAVIA, dove abbiamo ricoverato le barche per la notte, facciamo un ultimo controllo di quanto ci serve, mettiamo le barche in acqua, remi negli scalmi e via nella forte corrente di un Ticino veramente vigoroso.
I colpi in acqua si susseguono regolari, si chiacchiera, si scherza e ogni tanto si sta in silenzio per ascoltare i rumori della natura, per sentire e percepire meglio la potenza dell’acqua che ci circonda.
Alberi attorno a noi, uccelli che tagliano l’orizzonte, e quando le rive si fanno più dolci scorgiamo mucche quasi a riva, greggi di pecore che sembrano essere uscite da un presepe.
In alcuni momenti ci guardiamo negli occhi e capiamo quanto siamo fortunati. Questa avventura non è solo un’impresa sportiva, non è fatta solo di fatica fisica, di sudore, di mani che fanni male, di mète che sembrano non arrivare mai, è anche un’esperienza di vita. Abbiamo la consapevolezza che stiamo vedendo la natura ed il fiume Po da una prospettiva unica.
Come i bambini in autostrada, contiamo i ponti che passiamo, stando sempre attenti ai cambi di corrente che ci sono vicino ai piloni. Perdiamo presto il conto, distratti dall’infinito orizzonte dei colori che assorbono la nostra attenzione.
Ci fermiamo per una pausa tecnica su una piccola spiaggia che consente l’arrivo delle barche senza troppa difficoltà. Scendiamo dagli scafi sprofondando coi piedi nella fanghiglia senza che questo sia strano. Sorridiamo e godiamo della bellezza del momento, ognuno di noi si guarda attorno cogliendo quello che più ama, ognuno di noi è solo con le proprie sensazioni: un sogno.
Si continua a vogare, un remo dopo l’altro tagliano l’acqua, un colpo dopo l’altro e ci avviciniamo a Calendasco dove sappiamo di doverci fermare perché ci stanno aspettando.
In mezzo al nulla, in mezzo a rive deserte, compare una piccola rientranza, un pontile con due barche ormeggiate ed una vecchia ma affascinante mobile-home. E’ la sede di un circolo di “amanti del Po”, così definirei questo luogo. Cercate di immaginalo lo spirito di questo luogo: nel nulla, in mezzo ad uno splendido nulla, siamo accolti da eroi da persone del che sapevano del nostro passaggio.
Peter, Umberto e Fiorella ci trattano da veri amici, capiscono, senza averci mai conosciuti, che forse abbiamo la stessa empatia e lo stesso amore, che anche loro anno per diritto di nascita, per questo fiume e questi paesaggi.
Una grigliata è stata organizzata per noi, del buon formaggio si accompagna ad un frizzante e fresco vino rosso, pane in abbondanza sulla tavola e poco altro se non tantissima umanità, quell’umanità che nelle grandi città è ormai scomparsa.
Ed in questo deserto salutiamo felicemente, prima di rimetterci in moto, anche tre amici milanesi che sono venuti a trovarci: Anna, Clara e Cameron. Grazie!
Il nostro viaggio continua, i chilometri percorsi iniziano a farsi sentire, le vesciche nelle mani cominciano a bruciare, cerchiamo di resistere.
Il sole sta declinando sopra di noi, i colori diventano uniformi: le rive, gli alberi e l’acqua che scorre diventano un tutto che ci avvolge senza soluzione di continuità.
E’ come se avessimo il privilegio di entrare in un’altra dimensione, la dimensione intima del cosmo, fin dentro allo spirito del luogo.
Piacenza è davanti a noi, ancora un piccolo sforzo e vediamo comparire il pontile della storica Società Vittorino da Feltre 1883.
Ormeggiamo con una serie di colpi sostenuti controcorrente, dopo aver virato con le prue. Barche in spalla ed entriamo in Canottieri dove raccogliamo le ultime energie. Qualche minuto e le macchine dell’albergo, dove alloggeremo, vengono a prenderci.
In questo nostro viaggio stiamo incontrando persone molto disponibili con noi. Siamo veramente felici e grati per l’aiuto che ci stanno dando, in ogni forma e modo.
Ci trasciniamo fino alle camere con le nostre borse, una doccia al volo e si cena divorando anche il tavolo. Domani il viaggio continua…
Giorno 1: Milano-Pavia 16 maggio
Sono passati molti mesi dall’ideazione dell’impresa di reMIVEri ed il fatidico sabato della partenza è arrivato. I due equipaggi, al gran completo, si ritrovano in Canottieri San Cristoforo: ultimi controlli alle imbarcazioni, alle dotazioni di bordo, verifica dei remi, degli scalmi e via, con entusiasmo e consapevoli di compiere qualcosa di unico, mettiamo le barche in acqua.
Il cuore batte forte, sappiamo che molti amici e cittadini ci aspetteranno in darsena, per un saluto, prima di lasciare Milano.
Si parte, le prime remate trasmettono una strana sensazione mentre ciclisti, famiglie e persone disposte lungo il Naviglio Grande, ci incoraggiano per la nostra impresa. Man mano che ci avviciniamo alla darsena la folla aumenta e un applauso ci accoglie al passaggio sotto l’ultimo ponte che si apre sul bacino finalmente riportato agli antichi splendori.
E’ bello incontrare e ritrovare tanti amici, imbattersi in sconosciuti che sono venuti a vedere, incuriositi, questi dieci canottieri che remeranno da Milano a Venezia: percepisci chiaramente che per molti, questo viaggio, non rientra nell’alveo delle possibilità razionali. Ed invece lo era e lo è ancora: noi vogliamo dimostrarlo.
Spendiamo qualche tempo in Darsena per poi entrare, non senza difficoltà dovute alle forti correnti, nel Naviglio Pavese dove pochi metri ci separano da una prima esperienza unica: entriamo in una conca, ovvero in una chiusa che ci consente di superare un salto d’acqua di parecchi metri. Le due barche allineate aspettano al centro la chiusura delle paratie mentre un nuovo nugolo di persone incuriosite ci osservano sprofondare. Ed ecco aprirsi le paratie di fronte a noi e con esse la prospettiva del Naviglio Pavese. Il viaggio è veramente iniziato. Dopo qualche centinaio di metri una gru di Cavanna Traslochi, a bordo strada, è già pronta ad alare le barché perché il Naviglio Pavese, abbandonato alla navigazione da molti decenni, non è più percorribile, avendo il sistema di chiuse completamente compromesso.
E da questo punto, con le persone che ci osservano sempre più stranite, il nostro viaggio proseguirà fino Pavia – per una trentina di chilometri quindi – con le imbarcazioni trainate da due tandem ed appoggiate su due carrelli autocostruiti da alcuni di noi. Un grazie di cuore ad Alise Sicuri di Quantica, allo ZIO Bruno e alla Ciclofficina Balenga.
Il viaggio si trasforma in un’avventura, un primo carrello sembra cedere ma si è solo spostato per colpa di un dosso. Lì capiamo che dovremo andare molto piano. Invadiamo le piste ciclabili con gente che ci dice di mettere le barche in acqua. Ovviamente questo non è possibile. Blocchiamo un’intera rotonda, invadendola di biciclette, poco prima di arrivare a Pavia. La situazione è surreale e si formano chiaramente due fazioni divise tra quelli che ci incoraggiano e quelli che ci fanno notare che le barche non vanno per strada. Lo sapevamo ma non avevamo alternative e arriveremo a Venezia in qualsiasi modo. Mentre pensiamo questo preghiamo anche di non incrociare vigili o polizia: sarebbe una situazione di difficile soluzione.
Il destino ci sssiste e a metà pomeriggio raggiungiamo, più o meno senza intoppi, la sede del Cus Pavia Canottaggio dove ci accolgono con grande calore. Mangiamo qualcosa, facciamo un brindisi coi canottieri e con gli amici dell’Associazione Autismo Pavia e raggiungiamo l’albergo.
La tensione si allenta e la stanchezza improvvisamente fa la sua comparsa: il tempo di una cena e crolliamo sui nostri letti. Da domani il Ticino ed il grande Po, ci aspettano. Si comincia a fare sul serio.