Raccolta video

video di Coblanco dell’edizione 2017

Video di Giovanni Franzoi su reMIVEri edizione 2015


servizio su Studio Aperto

Servizio sul canale di RAIExpo 2015

La Canottieri San Cristoforo per reMIVEri

Ciclofficina Balenga e reMIVEri

Giorni 5-8: Revere-Bottrighe-Chioggia-Venezia

Ed ecco cosa è accaduto nella seconda metà del viaggio: il diario quotidiano, che avremmo dovuto scrivere ogni giorno, è rimasto infatti incompiuto durante la nostra impresa, per mancanza di forza fisica e mentale. Ogni giorno che passava pareva essere più duro per noi, condizione aggravata dal tempo in costante peggioramento.

Ripartiamo di buon’ora da Guastalla per il quinto giorno di navigazione, anticipando al massimo delle nostre energie l’alzataccia a causa della situazione meteo non proprio promettente. Cerchiamo di fuggire verso est il più velocemente possibile per scappare dalla pioggia. Il cielo plumbeo regge per una parte del percorso ma a metà, purtroppo, gocce di pioggia in aumento cominciano a ticchettare su di noi. Pochi minuti e la pioggia diventa battente, la temperatura si abassa, l’umidità entra dentro il nostro corpo. Ora sarà dura remare fino a Revere.

L’unica certezza è che non ci sono alternative se non vogare, vogare, vogare e arrivare a destinazione. Non esiste un piano B. Le circostanze mettono a dura prova la resistenza di noi canottieri. Solo un paio di soste velocissime su isole di fortuna, dove affondiamo nel fango come da tradizione. Iniziamo ad emettere strani fonemi, parole che si ripetono come mantra senza senso. E’ un modo come un altro per far passare il tempo, per non pensare, per anestetizzare la sofferenza. Capisco il senso delle canzoni di guerra, delle litanie che i soldati ripetono osessivamente, all’infinito, durante la loro marcia. Lo si fa perché hai assoluto bisogno di tenere la mente occupata, perché se pensi ti fermi e se ti fermi non riparti più.

Passano i minuti e le ore mentre il cielo pare squarciarsi all’arrivo a Revere: arriviamo col sole. Da lontano scorgiamo la Canottieri a sinistra della nostra prua, giusto prima di un ponte ferroviario. E’ bello vedere un pontile dove sai che attraccherai e potrai scendere. Un’altra tappa raggiunta, Venezia si avvicina.

Trascorriamo una serata in questa splendida cittadina che vanta una rocca dei Gonzaga, una delle loro residenze estive proprio a ridosso del grande fiume.

Il gentilissimo e disponibile responsabile della pro-loco, apre la torre per mostrarci la sua struttura che, nel corso della storia, ha avuto funzioni molto diverse: torre di avvistamento, carcere ed infine torre campanaria, divenuta mèta molto ambita per i campanari di tutto il mondo.

Proseguiamo la visita all’attiguo Palazzo Ducale ed al museo del Po che vi è ospitato.

La collezione è ricca ed affascinante e racconta la secolare storia del fiume. Sono esposti modelli di barche e zattere, mulini fluviali, ponti di barche ed altre meraviglie dei tempi che furono che erano in grado di sfruttare l’energia idrodinamica ora inutilizzata.

La sezione delle mappe antiche, che già riproducevano fedelmente il territorio circostante e l’idrovia, è di grande fascino. A fatica, ce ne andiamo.

Siamo provati dalla tappa di oggi e non godiamo la serata come avremmo potuto. Studiamo il meteo ogni ora, sperando che qualcosa migliori. Ma nulla migliora e domani sarà un massacro: 100 chilometri lungo un Po che si sta allargando, che sta moderando la sua corrente, che non ci darà una mano. Domani non avremo sconti e, nonostante la stanchezza, il buon senso ci suggerisce di partire quanto prima. Questo si traduce in una sveglia alle quattro e mezzo del mattino per avere il tempo di fare colazione, di armare le barche e di salutare Revere alle sei, al più tardi.

Ci alziamo con le facce scure, i nostri sguardi si incrociamo, proviamo a darci forza l’un l’altro. I giorni stanno trascorrendo ed il gruppo avverte quel senso di appartenenza che può fare la differenza. Non escludo che a volte pensiamo di essere un po’ matti, non escludo che ciò sia vero ed è forse la nostra salvezza.

Un paio di foto dal grande argine di Revere mentre il cielo pare schiarsi al sorgere del sole; via sulle barche, ognuno di noi agguanta i propri remi e inizia questo movimento sul carrello che oggi non avrà mai fine: avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro.

Siamo fortunati, o meglio, ci illudiamo di esserlo. Il cielo grigio sembra volerci risparmiare, le nubi si addensano attorno a noi ma abbiamo vogato per oltre 50 chilometri ed ancora non piove. Le speranze di evitare il peggio si spengono verso il sesssantesimo chilometro. Una pioggia battente si rovescia sopra le nostre imbarcazioni, un vento freddo si scatena attorno a noi mentre il fiume inizia ad incresparsi quasi fosse un mare. Ne mancano ancora quaranta, 4 ore di navigazione, 4 ore di baratro.

Non so come facciamo a continuare, a non mollare, a muovere i muscoli ormai ghiacciati e bagnati fino alle ossa. Si alternano momenti di tragico silenzio, perché nessuno di noi ha più forza di parlare, a momenti di “delirio” nei quali, com’era già accaduto, ripetiamo parole senza senso.

Guardo l’orologio che ho slacciato dal polso e appoggiato sulla barca nella speranza che le lancette scorrano più veloci. Scorrono sempre uguali, invece, è assurdo. Mi arrabbio con l’orologio.

Chiediamo al timoniere: “quanto manca? Vedi il pontile? Siamo arrivati? Non ce la facciamo più, non reggiamo più. Non si capisce come facciamo a non fermarci, ad andare avanti. Ti viene quasi da piangere.

Dopo 10 ore, con le mani che non sentiamo più, con le gambe che tremano, con la schiena a pezzi, vediamo la fine, vediamo un benedetto pontile di legno, vediamo alcune persone che aspettano i reMIVEri. Siamo arrivati a Bottrighe. Scaviamo dal fondo del barile delle nostre energie e giriamo le prua delle barche contro la corrente per la manovra di attracco.

Quando scendo a terra le gambe si piegano, non reggono più, la tensione cala all’improvviso. E’ un momento di commozione, per tutti. Ce l’abbiamo fatta, ci sentiamo un po’ eroi.

L’accoglienza è meravigliosa: anche qui, come durante tutto il nostro viaggio, troviamo amici che ci salutano con entusiasmo, che si mettono a disposizione per alleviare le nostre sofferenze, che ci ospitano nelle loro strutture, ci trasportano coi loro mezzi a destinazione, ci stringono la mano.

Lungo il grande Po, non abbiamo mai incontrato qualcuno che non fosse felice di vederci, che non volesse, in qualsiasi modo, essere di aiuto. Non è una cosa da poco e, probabilmente, è la cosa che ci ha dato la spinta per andare avanti, per non mollare mai.

La serata trascorre piacevolmente con gli amici della Canottieri Adria che sono venuti ad accoglierci e a festeggiare la nostra impresa: ci regalano una locandina che hanno fatto fare in ricordo dei reMIVEri. Siamo loro grati del gesto come siamo grati a tutti. Esiste una bella umanità che vive ed ama questo fiume. Noi l’abbiamo conosciuta ed abbiamo imparato ad apprezzarla, ad amarla.

Calata la tensione e l’adrenalina per la mèta raggiunta, la stanchezza esplode dirompente su tutti noi. Raggiungiamo le stanze e ci tuffiamo nei letti come fossero la cosa più bella del mondo. Un nubifragio si sta scatenando in tarda serata. Questo fa ben sperare per la giornata di domani, l’ultima della nostra folle avventura, la tappa che ci dovrebbe portare a Venezia.

La notte vola velocemente, comprendi che non hai tempo sufficiente per recuperare la stanchezza che si sta accumulando giorno dopo giorno ed il sonno non è mai profondo perché la mente non riesce a staccare del tutto.

E’ trascorsa ormai una settimana, siamo in prossimità del delta del Po. Oggi passeremo una serie di chiuse e canali che taglieranno il fiume Adige e il Brenta e ci porteranno nella laguna veneta.

Un saluto agli amici dell’Agriturismo Casa Ramello di Ariano nel Polesine – che hanno dedicato alle nostre magliette ufficiali reMIVEri un ciclo della loro lavatrice – e siamo di nuovo in partenza.

Chiudiamo le borse che carichiamo nell’auto di Antonio, papà di Massimo, nostro fondamentale supporto via terra. Anche senza di lui, il nostro viaggio non sarebbe stato possibile.

Giriamo le barche per svuotarle dall’acqua piovana, mentre alcuni di noi vanno a prendere i remi. Panico: contiamo i remi diverse volte e sembra che ne manchino sempre quattro. “Hanno rubato i remi”, inizia a dire qualcuno; “l’avventura finisce qui”, chiosa qualcun’altro. Mettiamo i remi vicini, li accoppiamo e continuiamo a contarli e ricontarli, increduli. Ne mancano sempre quattro, due coppie di remi. Tutti affermano che i remi sono stati portati e appoggiati in quel preciso punto, tutti negano di aver spostato i remi: l’ipotesi del furto di remi pare consolidarsi.

I remi, ovviamente, si trovavano su un altro punto del pontile. Un sospiro di sollievo: i nostri sedici remi esistono ancora. Credo sia la stanchezza, ormai non vediamo nemmeno gli oggetti davanti a noi.

Il cielo è cinereo ma non piove molto, una pioggerellina fine e costante ci bagna senza disturbare troppo, a volte si ferma. Tutto scorre tranquillamente, oggi. Salutiamo il Po mentre imbocchiamo la serie di canali e di chiuse che ci faranno concludere il viaggio.

Per un tratto si affianca un’altra barca, un dragone, con cui ci divertiamo a gareggiare e a scherzare dentro le conche, in attesa che le paratie si chiudano e si riaprano davanti a noi.

Alcune ore di remata e siamo a Chioggia: una pioggia battente, accompagnata da un forte vento, rinforzano il mare alla bocca di porto che separa la cittadina da Pellestrina. Siamo preoccupati perché le nostre barche da canottaggio – due GIG – non sono adatte alla navigazione in mare, sono basse e non hanno gli scalmi basculanti. Non appena ci troviamo in linea della bocca di porto, un mare violento e ondoso si abbatte su di noi. Un paio di ondate entrano in barca, i remi sono quasi ingovernabili: affondano o non prendono l’acqua.

Oggi non arriveremo a Venezia, la situazione è veramente pericolosa. Si decide di entrare in Darsena, allo Sporting, e di lasciare le barche qui. Nemmeno entrare risulterà facile, la corrente è potente e la barca scarroccia in direzione delle bricole. Con fatica guadagnamo il porto, fradici, tremanti, stanchi.

Le due barche non entrano assieme: l’altro equipaggio della “Reminga”, infatti, aveva trovato un riparo casuale attraccando ad un piccolo pontile presso la scuola dei Salesiani. Qui, in mezzo a bambini che giocavano a calciobalilla e azzannavano voraci le loro merende, i canottieri sono accolti da Don Marco che li rifocilla con the caldo e biscotti. Un ennesimo episodio di generosità ed umanità che abbiamo vissuto in questo viaggio. Grazie Don!

Questa sosta fuori programma significherà dover andare a Venezia in autobus, avendo ormai organizzato il pernottamento ed il trasferimento delle borse lì, e dover ritornare a Chioggia all’indomani per ritentare la traversata. Con ciò ci siamo giocati l’unico giorno di assoluto riposo prima della Vogalonga. Un vero peccato.

La sveglia suona molto presto sabato mattina, nel giorno del riposo perduto; alle 7.25 ripartiamo in autobus alla volta di Chioggia, continuando a guardare il meteo ed il cielo sopra le nostre teste. Dopo un’ora ci ritroviamo nuovamente in Darsena – un bel déjà vu – sotto una piogga costante ed una temperatura che si sta abbassando ulteriormente. Il quadro meteorologico è fosco ma il mare è migliore, con meno vento e meno onda. La decisione è presa: ci sono le condizioni per partire, via verso Venezia.

Abbiamo macinato centinaia di chilometri durante la settimana trascorsa, oggi ne abbiamo solo 30, sono pochi e questo ci consola, nonostante tutto. Si parte, rassegnati, sotto un forte temporale, siamo convinti che non sarà poi così dura. In fondo, abbiamo già percorso 100 chilometri in un giorno solo. Oggi è una bazzecola, in confronto. Non so se pensiamo questo per scaramanzia o perché vogliamo veramente sperare che non sarà poi così tragico raggiungere Venezia. Sta di fatto che questi maledetti 30 chilometri si riveleranno i peggiori del nostro viaggio, questi maledetti 30 chilometri non finiranno mai.

Ci sosteniamo a vicenda durante la traversata, l’acqua ha ormai raggiunto le nostre viscere, un freddo ed un’umidità pungente non ci danno tregua: la mani violacee faticano a stringere i remi, le gambe paralizzate non voglio più piegarsi, la schiena dolorante non sostiene più il nostro corpo.

Voghiamo lungo questo rettilineo infinito, costeggiando Pellestrina ed il Lido di Venezia, poi tagliamo in diagonale verso Sacca San Biagio, alla Giudecca.

Arriviamo a destinazione con la forza della disperazione, nessuno di noi crede di aver fatto quello che ha fatto, nessuno di noi si capacita di essere veramente arrivato a Venezia, partendo da Milano, una settimana fa, in un giorno di sole e applauditi dalla folla.

Eppure tutto questo è accaduto, tutto questo è vero, tutto questo sono stati e sono i reMIVEri.

Siamo noi, siamo persone normali che hanno voluto cimentarsi in qualcosa di più grande di loro, siamo persone che sono volute uscire dalla loro vita per mettersi alla prova, per dimostrare qualcosa al mondo, per urlare a tutti che tutto è possibile.

Scendiamo dalle barche tremando e tremeremo per ore, anche dopo una doccia calda. Siamo veramente commossi, siamo finiti, siamo stremati, siamo felici.

Questo viaggio lungo il Po è stato un viaggio che ha attraversato tre regioni italiane, molti comuni, molte città, è stato un viaggio pieno di umanità e di fatica, di gioie e di sofferenze. Credo che dentro tutti noi rimarrà un ricordo indelebile perché, in fondo, ognuno di noi ha fatto un viaggio dentro se stesso, oltre i propri limiti, oltre le proprie paure. Ognuno di noi non sarà più quello di prima.

E’ domenica, arriva il sole a riscaldare il mondo, migliaia di barche solcano il bacino di San Marco, un colpo di cannone dà il via alla Vogalonga che sarà l’ultima tapppa dell’avventura dei reMIVEri.

In poco più di due ore, nel gruppo di testa, chiudiamo questa fantastica ed irripetibile avventura, vogando, orgogliosi di noi stessi ed applauditi dalla folla festante.

Passiamo sotto il ponte dei tre archi ed imbocchiamo il canal Grande sventolando la nostra bandiera: è bellissimo ed emozionante.

Siamo commossi, siamo felici, ce l’abbiamo fatto. Siamo i reMIVEri, e lo saremo per sempre.

Giorno 4: Cremona-Guastalla 19 maggio

Oggi ci alziamo presto, prima delle sette: 70 chilometri dividono Cremona da Guastalla, la nostra prossima tappa.

Tardiamo un po’ la partenza per riorganizzare la barca d’appoggio visto che il gommone ci aveva definitivamente abbandonato a Piacenza per scollamento della chiglia gonfiabile: abbiamo rischiato di perdere il nostro Presidente tra le correnti del Po. Ed invece lo vediamo, più sereno che mai, su una barca in alluminio messa a disposizione da Armando o, per meglio dire, dall’Armando.

Un fotografo del Touring, giunto sul pontile gallegiante per scattarci alcune foto, ci seguirà anche per un primo tratto, documentando la nostra impresa. Ne siamo onorati.

La giornata è assolata e la temperatura aumenta. Acuni di noi vogano a torso nudo, visibilmente segnati dalla tipica abbronzatura del canottiere. L’aria è afosa e beviamo molta acqua con integratori, per ricostituire le riserve energetiche. Qualche piccola sosta per scattare alcune foto e un paio di soste più lunghe su lingue di sabbia limacciosa dove le nostre prue si appoggiano facendo inclinare le imbarcazioni. Via i calzini e le scarpe, si scende a terra coi piedi che sprofondano abbondantemente nella riva. I muscoli si rilassano, alcuni di noi accennano un po’ di stretching per cercare di sciogliere i muscoli: la schiena è dolente, le mani accusano i chilometri che si stanno accumulando, le vesciche aumentano e la pelle inizia a tagliarsi. Fa male, fa parte del gioco.

A metà percorso facciamo una pausa alla Canottieri dell’Eridanea, fucina di grandi campioni del Canottaggio italiano. Il Presidente ci accoglie con grande e giusto orgoglio, mostrandoci la struttura ed elencando i nomi degli atleti che si sono formati lungo queste sponde e raccontando le loro vittorie.

Ripartiamo dopo un buon piatto di pasta che ci ridà un po’ di forza, barche di nuovo in acqua e via verso Guastalla. Ancora un paio di soste su piccole spiagge che troviamo lungo la navigazione mentre il sole è alto in cielo e una cappa di afa sembra non volerci dar tregua.

L’attenzione è sempre importate a bordo, soprattutto per il timoniere. Ci sono molte secche in agguato: in un paio ci finiamo sopra e siamo costretti a scendere dalle barche. Massima attenzione anche ai tronchi trascinati dalla corrente che potrebbero danneggiare gli scafi.

Dopo una serie di anse la nostra mèta si avvicina, finalmente. I chilometri percorsi si stanno facendo sentire. Il desiderio di mettere i piedi a terra aumenta, come pure la voglia di potersi rilassare.

Un ultimo cambio di direzione del grande fiume e scorgiamo, a dritta della prua, il Circolo Canottieri Eridano, altra pietra miliare della storia della voga italiana.

A questa altezza, il Po sembra particolarmente vigoroso, le correnti sono visibilmente forti e il piccolo pontile davanti a a noi – perfetto per i kayak ma assolutamente inadatto per delle barche da 12 metri come sono le nostre – non fa presagire un facile approdo.

La prima imbarcazione, nella sola manovra di virata, perde moltissimi metri a causa dello scarroccio provocato dalla corrente. In quattro canottieri alla massima potenza facciamo fatica a risalire il fiume. In qualche modo guadagnamo l’arrivo grazie ad un nostro remo agguantato da una persona che ci stava aspettando.

La seconda imbarcazione, subito dietro, arriva anch’essa a destinazione con un piccolo urto tra lo scafo e l’angolo del pontile galleggiante: si danneggia in modo lieve, fortunatamente senza conseguenze strutturali.

Scendiamo tutti a terra, solo in quel momento cala la tensione; ci consoliamo con una serie di spritz e Martini gentilmente offerti da una compagna di avventura: Arianna.

Godiamo ancora della la bellezza del grande fiume mentre alcune nuvole tagliano l’orizzonte e fanno virare i colori dai toni dell’azzurro ai toni del grigio.

Una luce strana si diffonde in un’atmosfera che pare sospesa.

Arrivano le macchine che ci porteranno in centro a Guastalla, dove passeremo la notte. Saliamo, carichiamo le nostre borse e ridiamo come dei ragazzini raccontandoci le cose più strane. Abbiamo ormai capito e sappiamo che la stanchezza fa dei strani effetti sulla nostra psiche. Ma in fondo è bello così.

Giorno 3: Piacenza-Cremona 18 maggio

Ci svegliamo di buon’ora a Piacenza anche se la tappa di oggi sarà meno lunga delle altre. Dobbiamo superare un forte dislivello del fiume Po all’altezza della centrale elettrica di Isola Serafini. Passare questa chiusa è sempre un’incognita perché dipende dal livello delle acque: se sono troppo basse non è possibile utilizzare la conca e si deve ripiegare per un trasporto delle imbarcazioni da terra, cosa che richiederebbe un certo tempo.

Lasciamo la storica Canottieri Vittorino da Feltre, una delle tante nate nel 19° secolo lungo le rive del grande fiume. Nel frattempo cerchiamo di contattare il conchista – figura a noi ignota fino a poco tempo fa – che gestisce la chiusa di Isola Serafini. Il responso, fortunatamene, è positivo: il livello è abbastanza alto e potremo utilizzare le chiuse.

Oggi il sole splende sopra di noi, l’aria si scalda al passare delle ore, ogni tanto incrociamo qualche airone. A volte si nota una grande V formarsi e scorrere veloce nella corrente: è il pesce siluro.

Il paesaggio si ripete sempre uguale e sempre diverso: pioppeti, spiagge, pecore e vacche fino alla riva, alcune casette galleggianti, qualche campanile che spunta dietro gli alberi od oltre gli argini. Un senso di pace si diffonde in questo deserto d’acqua perché questo grande fiume, contrariamente a quanto si pensa, è deserto, non si incrocia nessuno per molto tempo: ogni tanto un gommone di pescatori, più di rado piccole chiatte trainate da rimorchiatori, raramente un kayak.

Ognuno rema coi propri pensieri, si ride e si scherza sulle barche, il tempo deve passare; qualche volta si sente qualcuno zittire tutti: è il desiderio di sentire il silenzio che c’è attorno a noi, un silenzo al quale non siamo più abituati, un silenzio che ci riporta a noi stessi.

Guardiamo l’orologio, facciamo due conti e capiamo di essere in largo anticipo rispetto all’apertura della conca. Perché passare una conca non è come passare un casello autostradale, non aprono quando arrivi o vuoi tu. Aprono quando possono e vogliono loro, e tu ti devi regolare di conseguenza. Questa “benedetta conca” aprirà alle quattro del pomeriggio e noi dovremo aspettare.

Ne approfittiamo e decidiamo di fare una sosta più lunga per il pranzo.

Si ormeggia all’Associazione San Nazaro Motonautica, nonostante la struttura sia chiusa, e organizziamo, al volo, una prenotazione all’Antica Trattoria da Cattivelli, che da nostri studi topografici ci sembrava poco distante. Gli studi si rivelano errati e la possiamo raggiungere solo grazie a tre macchine che ci vengono a prendere, macchine mosse da pietà per questi 10 pazzi che stanno andanda da Milano a Venezia. Anche in questa occasione siamo felicemente sorpresi dalla gentilezza e disponibilità delle persone che vivono lungo il Po.

Mangiamo abbondantemente – forse troppo – ritorniamo, dopo una sosta di due ore, alle nostre barche e ci avviciniamo a quel “mostro” che tanto ha turbato i nostri sogni: la chiusa di Isola Serafini. Alcuni di noi già si vedevano risucchiati dai gorghi delle turbine della centrale idroelettrica, altri si immaginavano tagliati in due dalle paratie.

Nulla di tutto questo accade ma essere dentro una conca – che a paratie chiuse si abbassa di 10 metri – non è una cosa che capita spesso nella vita. E’ impressionante ed affascinante.

Quando le paratie a valle si aprono è come se si alzasse un sipario, è come se si ritornasse alla vita dopo un tempo sospeso nel quale hai temuto di essere in trappola.

Ancora una breve navigazione e si raggiunge Cremona con la sua grande tradizione di canottaggio. Ci accolgono un maestoso lungofiume e una delle sue canottieri più importanti: la Leonida Bissolati.

Alcuni di noi decidono di accettare un invito particolare: si dormirà in una casetta galleggiante ospiti di Armando che ci racconterà il suo amore per il grande fiume.

Man mano che passano i giorni capiamo sempre di più quanto il Po non sia, in effetti, solo un fiume, il Po rappresenta un’entità assoluta e superiore, qualcosa di metafisico che entra dentro il cuore delle persone del luogo.E’ un amante che ti ammalia e ti irretisce: non puoi più farne a meno.

Guardiamo il fiume all’imbrunire mentre un treno merci che sferraglia passa sul ponte di fronte a noi: sembra un film, sembra irreale. Forse non siamo più abituati alla realtà. Ci sentiamo fortunati e con questi pensieri cerchiamo il riposo nella notte. Domani si rema ancora.

Giorno 2: Pavia-Piacenza 17 maggio

Si riparte di buon mattino percorrendo un tratto del Ticino che ci porterà al grande fiume Po. Salutiamo gli amici del CUS PAVIA, dove abbiamo ricoverato le barche per la notte, facciamo un ultimo controllo di quanto ci serve, mettiamo le barche in acqua, remi negli scalmi e via nella forte corrente di un Ticino veramente vigoroso.

I colpi in acqua si susseguono regolari, si chiacchiera, si scherza e ogni tanto si sta in silenzio per ascoltare i rumori della natura, per sentire e percepire meglio la potenza dell’acqua che ci circonda.

Alberi attorno a noi, uccelli che tagliano l’orizzonte, e quando le rive si fanno più dolci scorgiamo mucche quasi a riva, greggi di pecore che sembrano essere uscite da un presepe.

In alcuni momenti ci guardiamo negli occhi e capiamo quanto siamo fortunati. Questa avventura non è solo un’impresa sportiva, non è fatta solo di fatica fisica, di sudore, di mani che fanni male, di mète che sembrano non arrivare mai, è anche un’esperienza di vita. Abbiamo la consapevolezza che stiamo vedendo la natura ed il fiume Po da una prospettiva unica.

Come i bambini in autostrada, contiamo i ponti che passiamo, stando sempre attenti ai cambi di corrente che ci sono vicino ai piloni. Perdiamo presto il conto, distratti dall’infinito orizzonte dei colori che assorbono la nostra attenzione.

Ci fermiamo per una pausa tecnica su una piccola spiaggia che consente l’arrivo delle barche senza troppa difficoltà. Scendiamo dagli scafi sprofondando coi piedi nella fanghiglia senza che questo sia strano. Sorridiamo e godiamo della bellezza del momento, ognuno di noi si guarda attorno cogliendo quello che più ama, ognuno di noi è solo con le proprie sensazioni: un sogno.

Si continua a vogare, un remo dopo l’altro tagliano l’acqua, un colpo dopo l’altro e ci avviciniamo a Calendasco dove sappiamo di doverci fermare perché ci stanno aspettando.

In mezzo al nulla, in mezzo a rive deserte, compare una piccola rientranza, un pontile con due barche ormeggiate ed una vecchia ma affascinante mobile-home. E’ la sede di un circolo di “amanti del Po”, così definirei questo luogo. Cercate di immaginalo lo spirito di questo luogo: nel nulla, in mezzo ad uno splendido nulla, siamo accolti da eroi da persone del che sapevano del nostro passaggio.

Peter, Umberto e Fiorella ci trattano da veri amici, capiscono, senza averci mai conosciuti, che forse abbiamo la stessa empatia e lo stesso amore, che anche loro anno per diritto di nascita, per questo fiume e questi paesaggi.

Una grigliata è stata organizzata per noi, del buon formaggio si accompagna ad un frizzante e fresco vino rosso, pane in abbondanza sulla tavola e poco altro se non tantissima umanità, quell’umanità che nelle grandi città è ormai scomparsa.

Ed in questo deserto salutiamo felicemente, prima di rimetterci in moto, anche tre amici milanesi che sono venuti a trovarci: Anna, Clara e Cameron. Grazie!

Il nostro viaggio continua, i chilometri percorsi iniziano a farsi sentire, le vesciche nelle mani cominciano a bruciare, cerchiamo di resistere.

Il sole sta declinando sopra di noi, i colori diventano uniformi: le rive, gli alberi e l’acqua che scorre diventano un tutto che ci avvolge senza soluzione di continuità.

E’ come se avessimo il privilegio di entrare in un’altra dimensione, la dimensione intima del cosmo, fin dentro allo spirito del luogo.

Piacenza è davanti a noi, ancora un piccolo sforzo e vediamo comparire il pontile della storica Società Vittorino da Feltre 1883.

Ormeggiamo con una serie di colpi sostenuti controcorrente, dopo aver virato con le prue. Barche in spalla ed entriamo in Canottieri dove raccogliamo le ultime energie. Qualche minuto e le macchine dell’albergo, dove alloggeremo, vengono a prenderci.

In questo nostro viaggio stiamo incontrando persone molto disponibili con noi. Siamo veramente felici e grati per l’aiuto che ci stanno dando, in ogni forma e modo.

Ci trasciniamo fino alle camere con le nostre borse, una doccia al volo e si cena divorando anche il tavolo. Domani il viaggio continua…